A CURA DELL’AVV.TO GIOVANNA RUSSO

L’emergenza sanitaria degli ultimi tempi ha amplificato e fornito una lente di ingrandimento ad un fenomeno che, per il nostro territorio, rappresenta una subdola e meschina verità. Tante donne sono state costrette a vivere sotto lo stesso tetto con i propri aguzzini, tollerandone le minacce e gli atti di violenza, senza poter reagire. Questo è un piccolo spunto per riflettere su una piaga che va contrastata con attività di sensibilizzazione fin dalle scuole primarie. In effetti la violenza di genere perpetrata sulla donna rappresenta un avanzamento criminoso di atti più lievi commessi, evidentemente, fin da piccoli. Quindi contrastando il fenomeno con un’attenta attività di sensibilizzazione nelle scuole primarie potremo auspicare ad una società educata al rispetto e al valore dell’umanità. Orbene, fatta una dovuta premessa culturale, è doveroso addentrarsi nella disciplina normativa del fenomeno in oggetto. Il Legislatore nazionale è stato colto impreparato più volte da una normativa comunitaria sempre più adeguata ai tempi, sempre più celere, sempre più repressiva; basti pensare alla Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 concernente la lotta contro la violenza perpetrata sulle donne. Il primo intervento normativo a livello nazionale è possibile individuarlo nel D.L. n. 11 del 23 febbraio 2009 che ha formalmente introdotto nel nostro ordinamento il reato di Stalking all’art. 612 bis C.P.; tale intervento ha rappresentato una vera e propria conquista di civiltà per le vittime di atti persecutori e molestie. Successivamente registriamo tra gli interventi normativi che si pongono in linea repressiva del fenomeno della violenza di genere, il D.L. n.93 del 14 agosto 2013 che si pone in risposta alle indicazioni provenienti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa menzionata in precedenza. Vengono inasprite le pene quando: il delitto di maltrattamenti è perpetrato in presenza di minori degli anni 18; il delitto di violenza sessuale è consumato ai danni di donne in stato di gravidanza; il fatto è consumato ai danni del coniuge, anche divorziato o separato, o dal partner; i reati di violenza a stampo femminile sono perpetrati in costanza di matrimonio o con strumenti informatici; Viene previsto poi l’irrevocabilità della querela per il delitto di atti persecutori nel caso di gravi minacce ripetute, vengono previste ipotesi di arresto in flagranza nel caso di condotte di maltrattamento, infine viene previsto l’accesso al gratuito patrocinio senza limite di reddito per le persone vittime di violenza. Tali strumenti normativi sempre più incisivi e repressivi possono essere ben letti e compresi solo se ci si addentra nello studio della normativa e giurisprudenza sovranazionale; a tal punto, ritengo di particolare pregnanza la trattazione del caso Talpis contro Italia e il caso Osman. Rappresentano, infatti, questi precedenti giurisprudenziali sovranazionali un’ennesima dimostrazione di come il modello nazionale sia improntato a seguire le indicazioni sovranazionali, anche e soprattutto a seguito delle notevoli condanne emesse a livello europeo che inevitabilmente riflettono un Legislatore lento ma pronto ad intervenire. Il caso Osman contro Regno Unito è di particolare importanza perché in questo procedimento viene elaborato un criterio il c.d. “Test di OSMAN” in base al quale definire i casi di violenza che avrebbero dovuto ricevere il tempestivo intervento delle autorità nazionali e per i quali invece si è assistito ad un’inerzia degenerata in un tragico epilogo (l’uccisione della donna). Infatti, in base a questo test, intanto è richiesto un tempestivo intervento delle autorità qualora sapessero o avrebbero dovuto sapere di una situazione concreta di pericolo, sulla base di due elementi: l’immediatezza e la realtà del pericolo, nella logica in cui siano ragionevolmente prevedibili dalle forze dell’ordine. Tale “test” verrà ripreso nelle valutazioni della vicenda oggetto del “caso Talpis contro Italia”, in cui il nostro Stato ha ricevuto una condanna da parte della Corte Europea di Strasburgo per ritardi nell’intervento delle forze dell’ordine, la cui tempestività avrebbe potuto evitare la morte del minore figlio di una coppia, frappostosi per difendere la madre, diventata bersaglio del marito da anni, durante un ennesimo episodio di violenza domestica(la donna tuttavia aveva ritrattato le condotte di violenza subita). A più riprese, tuttavia, si osservato, alla stregua del “test di Osman”, che il lasso temporale intercorso tra la denuncia iniziale e il triste epilogo finale non assumerebbe i connotati dell’immediatezza e realità del pericolo e quindi viene esclusa una conoscenza costruttiva in capo alle autorità italiane. In particolare, il giudice Spano membro della Corte Edu che ha partecipato alla deliberazione della sentenza Talpis, trovandosi in linea con tali considerazioni e in disaccordo con i contenuti della sentenza, ammette che, essendoci stata una ritrattazione della vittima, l’episodio di violenza può essere letto come un comportamento imprevedibile e che non avrebbe potuto essere ragionevolmente previsto dalle Forze dell’Ordine. In definitiva, secondo il giudice Spano, lo stato italiano non può essere considerato responsabile in quanto il test di Osman non ha avuto un riscontro positivo. In sostanza la sentenza Talpis rappresenta un importante precedente, affinché le autorità italiane non sottovalutino segnali e atti che provochino negli aggressori un sentimento di impunità e nelle vittime un sentimento di impotenza. A prescindere dall’applicazione del “test Osman”, va detto che il “caso Talpis contro Italia” rileva per aver focalizzato l’attenzione su un importante aspetto quale quello della ritrattazione della vittima ostaggio di un uomo violento che la spinge in tal senso con la minaccia che in caso contrario ci sarebbero terribili ripercussioni. Tuttavia, attualmente va detto che lo strumento della ritrattazione, con inevitabile pregiudizi sulla valutazione di pericolosità della condotta dell’uomo, è fortemente frenato della remissione processuale, che di fatto impedisce forme di subdole forme di ritorsione dell’uomo nei confronti della donna. Ad ogni buon conto, con l’intensificarsi dei fenomeni di violenza con tragici epiloghi, inevitabilmente segnati da lungaggini processuali vero scudo per l’autore del reato e indebolimento per la vittima, venne introdotto il c.d. Codice Rosso. I punti di novità si possono sinteticamente analizzare nel seguente modo: -la polizia giudiziaria dovrà comunicare immediatamente la notizia di reato al magistrato di competenza; -l’obbligo da parte della magistratura di ascoltare la vittima nei 3 giorni successivi alla denuncia; -l’introduzione dei reati di sfregio, di matrimonio forzato, revenge porn e violenza assistita; -braccialetto elettronico sia nel caso di obbligo di allontanamento sia di divieto di avvicinamento; Tale intervento segna sicuramente un notevole passo in avanti da parte del Legislatore, tuttavia, la strada è ancora lunga per l’apertura legislativa al riconoscimento del “femminicidio”.

 

Violenza domestica

di Avv. Giovanna Russo - letto da Stefania Guarracino